San
Giovanni in Fiore, 19 gennaio 2004
--Egregio
Onorevole Oliverio,
ho letto con attenzione il suo primo scritto, Il Mediterraneo una opportunità per la nuova Europa, sul periodico
dell’associazione che presiede. Desidero fermare alcuni
pensieri e, nel contempo, porle delle questioni. Aprendo, lei
parla di «risveglio della coscienza mediterranea» e precisa che Europa
Mezzogiorno Mediterraneo,
l’associazione che ha costituito, ne «vuole
essere uno dei luoghi organizzati». La voce “risveglio”,
nell’ottica degli essenzialisti, sta per «ritorno
della sensibilità dopo il sonno» oppure
per «rinnovata forza morale o fervore di attività,
dopo una lunga inerzia». Come sa, nella città
che ci accomuna, c’è un movimento politico che,
nel nome, contiene il termine in oggetto. Quando nacque, pensai,
ragazzo, alla reazione di nervi ad uno stato d’assoluto
torpore, tale da annullare perfino l’inquietudine dell’esistenza.
Allora, i miei ragionamenti, e i miei celebri voli, erano profondamente
influenzati dalla semplicità locale, dalla fantasia dell’adolescenza, non compromessa dalla tecnologia applicata,
dalle tante imposizioni scolastiche e familiari, spacciate per
verità assiomatiche. Oggi,
le mie riflessioni nascono da esperienze, osservazioni, letture
e confronti. Nel suo testo, prosegue: «La
consapevolezza della propria identità e l’orgoglio
delle proprie origini deve coinvolgere anche il grande mondo
degli emigrati calabresi».
--«Io
sono io e la mia circostanza», dice Ortega y Gasset in Meditazioni sul Chisciotte.
--Prendendo
questa affermazione un po’ diversamente dall’autore,
le confesso che, oltre all’amore per la mia terra,
la Calabria, mi porto dietro quello per i luoghi della
formazione, di superficie, e per le bellezze di un «piccolo
mondo prezioso», senza distinzioni, se non di modi, di
cultura. Mi sento europeo ma anche africano. Mia madre è nata in Somalia.
I ritmi, il calore e il colore della
culla della civiltà, l’Africa,
non sono oggettivamente inferiori all’enfasi orchestrale
della Tetralogia di Wagner, ai suoi presupposti e agli effetti
nello spirito. Che cosa intende, onorevole, per «orgoglio
delle proprie origini»,
in un discorso, quello svolto nel suo articolo, di integrazione
fra Mediterraneo e nord europeo, secondo il disegno
imperialistico d’un Occidente che distribuisce, con le
armi, pace, giustizia ed esecuzioni di massa, o acuisce le già
enormi differenze fra ricchi e poveri? In che modo questo «orgoglio
deve coinvolgere il grande mondo degli emigrati
calabresi»?
Architettura Mediterranea
Santuario
di Hera Lacinia
a Capo Colonna
Crotone, Calabria, Italia
Fotografia:
Francesco Saverio ALESSIO - copyright
© 1986
--Mi scusi, non voglio tentare
una sterile polemica: sono abituato a soffermarmi sulle parole
e sui loro ampi significati. Ho spesso litigato coi miei
insegnanti di lettere e con alcuni colleghi, per le loro ristrette
interpretazioni, dal mio punto di vista, di vocaboli e proposizioni.
Francamente, non comprendo il passaggio dall’orgoglio individuale
al coinvolgimento degli emigrati. Quello che lei chiama
“orgoglio”, per me, è sofferenza. Una sofferenza ingannata, via via, dalla nostalgia e dalla speranza. Ho discusso con molti residenti all’estero, coi
quali proprio la sua fazione politica di provenienza ha giocato
più volte, partendo per la Svizzera, ad esempio, e promettendo
loro un buon ritorno a casa. Ma erano altri tempi, c’era
una democrazia congelata nello scontro fra Dc e Pci; bisognava attaccarsi a tutto. E a tutti.
--Ora
che abbiamo interiorizzato, pare, i valori di quel pluralismo
culturale che lei sintetizza nell’espressione «gli
attuali processi di globalizzazione del mondo intero»,
siamo consapevoli che le nostre azioni debbono tendere ad una,
come scrive, «civile funzione propulsiva». Il che
significa, lasciarsi dietro i rancori, gli ardori e le ideologie,
per un liber(al)ismo fattuale e una moderazione politica da contratto,
che hanno cancellato, quasi del tutto, le pretese di solidarietà
istituzionale della sinistra storica. Insomma, adesso,
soprattutto davanti ai media, ci si comporta in maniera aperta
e, nel dibattito politico, si cerca di coniugare il globale col
locale, magari rinunciando all’analisi
dei particolari.
--Entusiasticamente,
lei sostiene che il Mediterraneo è un’opportunità per la nuova Europa, riprendendo
la Dichiarazione
di Barcellona del ‘95. Tanto basta, per molti,
fra cui il fraterno amico Giovanni Iaquinta, a deporre il sospetto che non ci sia, anche senza colpa,
una retorica idealistica o politica.
--Proprio
in questi giorni, ho, sottomano, il buon saggio di Raul
Kirchmayr sulla relazione
fra globale e locale, apparso su aut aut del settembre
2000. Le risparmio il tedio della teoria, per scendere ai fatti.
Il 25 ottobre passato, al convegno annuale degli industriali crotonesi,
è emerso un quadro, sulle prospettive economiche della Calabria mediterranea,
molto realistico e poco variopinto. Gli investimenti degli
attori della scena economica continentale non toccano la nostra
terra. I corridoi che raggiungono l’alta Europa
sono roba del Nord. La competizione ci è interdetta dalla
carenza di infrastutture. Il Novecento della rinascita, fatta
la Repubblica, ci ha condannato all’abbandono.
--Poiché
deputato, lei viaggia in prima classe, su treni veloci, «aerodinamica
dell’Europa unita». Da Roma in giù, è
un’altra storia. Nei festivi, per partire, ci s’affida
alla Provvidenza. Il progresso occidentale è basato
sulla velocità. A
riguardo, ci sono delle significative icone del futurismo. Noi meridionali viviamo ancora di lentezze, spesso indotte da
un assistenzialismo politico che ci ha levato ogni volontà
di ruoli attivi. Io ricordo bene quando lei faceva il capofila
del diritto di vivere in montagna. Tradotto, voleva essere un
appello alla beneficienza di Stato, che, come sa meglio di me,
è in tremendo deficit. Oggi, però, se non produciamo,
non campiamo. Purtroppo, non siamo capaci di farlo o non ci troviamo
nelle giuste condizioni.
--Come
politico meridionale, il suo compito è di agevolare l’impresa
e il lavoro al Sud. Come filantropo, presidente di Europa
Mezzogiorno Mediterraneo, lei vuole profondere il suo
impegno, «cercando di mobilitare le molteplici e più
autorevoli istituzioni politiche e culturali della Regione»
e «favorendo relazioni e gesti quotidiani, rapporti semplici,
diretti e amichevoli delle intelligenze calabresi». Tutti
scopi rispettabili e stimolanti, che saranno svuotati completamente,
se, di contro, l’attività della sua associazione
sarà, sotto sotto, di campagna elettorale. Il
nostro Mezzogiorno chiede risposte e occasioni. E spesso fa a cazzotti con l’Europa, per due motivi: l’inettitudine
di politici e dirigenti calabresi, rispetto all’utilizzo
di grandi risorse comunitarie; una politica europea,
non solo quella istituzionale, che, in sostanza, taglia le gambe
al Sud. Penso, tuttavia, che non possiamo sempre giustificarci
accusando.
--Dobbiamo
assumerci le nostre responsabilità.
--Ci
sono giovani e tenaci imprenditori, in Calabria.
Molti di loro hanno dovuto superare i baluardi d’una burocrazia
politicizzata e, alla fine, hanno avuto comunque ragione. Mi viene
in mente la collega Maria Grazia Andali.
--Poi,
ci sono intellettuali che, per raggiungere degli obiettivi, hanno
dovuto cambiare residenza. E’ il caso di Francesco
Saverio Alessio, per citare qualcuno; il quale, per
realizzare i suoi progetti di studio sull’emigrazione, risiede,
adesso, a Caccuri.
--Una
vita spesa a cercare la strada per operare in Calabria e non emigrare.
--Come
si risponde a questa gente, a chi s’impegna per non andarsene?
--Il
problema dell’emigrazione intellettuale deve
essere affrontato con obiettività, perché, a vari
livelli istituzionali, ci sono delle cause precise. San
Giovanni in Fiore si sta spopolando. Molte famiglie si sono trasferite altrove, definitivamente. La
politica non ha creato le basi per crescere producendo né
per una vera svolta attraverso il turismo e la cultura.
--Un
giorno mi dirà pure le ragioni del suo silenzio sulla Provincia
di Crotone.
--Attualmente,
lei è parlamentare, con tutto ciò che ne deriva. Se sarà presidente della Provincia
di Cosenza, conservi questo articolo. A tutti piacerebbe parlare, più che di “risveglio”,
di coscienza delle cose.
--Ogni
idea ne frutta delle altre.
--Ma,
per instaurare rapporti effettivi con un Mediterraneo
al quale apparteniamo più dell’Europa,
bisogna che siamo in salute. Culturale ed economica. Cordialmente,
--Emiliano
MORRONE
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