--Nel
1988 i proprietari di Calabritto, al fine di attuare una
Ordinanza comunale di ripristino delle attintature esterne, mi
incaricarono di redigere un progetto di restauro cromatico delle
parti comuni del palazzo: facciate, androne, cortile,
scalone, corridori. Con i primi rilievi architettonici, con le
indagini storico-archivistiche, è incominciata una lunga
esperienza progettuale che solo negli ultimi mesi, sul cantiere, a diretto contatto con l'opera, con la sua pelle, con
le sue pietre, con i suoi colori, dopo continui processi
di verifica e di adattamento delle prime ipotesi alle circostanze
degli eventi, è giunta ad una Idea di restauro che, escludendo
l'eventualità di cogliere "l'unità
del pensiero originale" del monumento, ne propone
un'immagine certa, e dalla resa piacevole.
--Iniziato
dalla famiglia Tuttavilla di Calabritto alla fine del sec. XVII,
il palazzo, nel 1736, non ancora ultimato, è espropriato
dalla Casa reale; vent'anni dopo, viene riceduto ai proprietari
originari, che ne intraprendono un ampliamento. La trasformazione
per vastità d'intenti e sopratutto per complessità
strutturale si rivela talmente "impicciosa" da far ritenere
necessaria la consulenza di Luigi Vanvitelli.
--Nel
1820 c.a, ancora incompleto nelle strutture, diviso a
metà da una cortina muraria edificata nel cortile, il palazzo
è oggetto di una vendita giudiziaria. I nuovi proprietari,
mutando la destinazione originale, frazionano gli spazi esistenti
e sopraelevano, sul tetto, un ulteriore piano.
--Durante
la seconda guerra mondiale (1940-45), l'edificio è
bombardato; ricostruito e restaurato tra il 1947 ed il 1960, è
ulteriormente sopraelevato e frazionato. Nel 198O è danneggiato
dal terremoto e, successivamente, ancor più dai lavori
di preteso consolidamento.
Restauro di Palazzo Calabritto
in Piazza dei Martiri a Napoli
Paolo
di Caterina
riferimento: http://www.interviu.it/avvenime/1997/casa/restauro.htm
--Sul
colorito di Calabritto, invece, le prime notizie sono assai più
recenti, risalgono al 1926. In quell'anno, a seguito
di un'Ordinanza municipale del 31 gennaio, che imponeva ai proprietari
l'attintatura delle facciate entro 40 giorni, la R. Soprintendenza
all'Arte Medioevale e Moderna, nell'ambito precipuo delle proprie
competenze, con una nota del 23 febbraio, inviata al R. Commissario
del Comune e "per visione" all'architetto del Condominio,
Gaetano de Angelis, prescriveva in maniera magistrale tutte le
norme che dovevano essere rispettate nell'eseguire quell'ordinanza:
"deve essere un restauro completo, razionale ed artistico
e non una delle comuni attintature (...). Per tanto eseguire,
occorre che nei tre fronti di Piazza Martiri, Via Calabritto e
Piazza Vittoria venga, principalmente, portata in vista la pietra
da taglio (piperno e marmo) nelle cornici, zoccolature, pilastri
angolari, tavoloni di balconi, ornie dei due monumentali ingressi
(...). Le parti a stucco, saranno ben raschiate, restaurate e
nuovamente attintate ad imitazione travertino (...), vengano rifatte
le facciate interne, gli androni, i due cortili (...). A completare
l'opera di risanamento e di decenza (...) mal si addice che la
portineria di Via Calabritto 20 sia costituita da due indecenti
casotti in legno dietro i battenti del portone e che perciò
occorrerebbe eliminarli". Tali lavori, pur progettati dal
de Angelis ma forse troppo costosi, non iniziarono mai, tanto
che il 2 luglio del 1934 il Comune di Napoli ribadì l'ordinanza
del '26. Anche a questa seconda ingiunzione non venne dato corso,
tanto che l'8 Agosto 1936 il quotidiano IL MATTINO, in un corsivo
lamentava: "uno dei monumenti napoletani - più armoniosi
- il palazzo Calabritto (...) necessita di attintatura - l'intonaco
cade a pezzi in molti tratti costituendo anche (...) un pericolo
per i passanti- di accomodi alle gelosie all'esterno, e di altre
cure (...)". In una Cartolina di Piazza dei Martiri
del 1940 (ed. Bowinkel) Calabritto appare ancora fatiscente; pochi anni più tardi ai danni dell'incuria e del tempo
si aggiungevano quelli assai più disastrosi della guerra.
--I
bombardamenti procurarono il crollo dell'ala settentrionale del
palazzo, da Piazza dei Martiri a Piazza della Vittoria,
e di gran parte degli intonaci dei muri rimasti in piedi. I
lavori di consolidamento e di ricostruzione iniziati nel 1947
terminano, finalmente con l'attintatura, soltanto nel 1960: di essi è conservata una dettagliata perizia di contabilità
nell'archivio condominiale, ma non ve n'è traccia in Soprintendenza,
né esistono note di prescrizioni preventive. In realtà
quei lavori, finanziati dallo Stato quale risarcimento dei danni
di guerra, e pertanto fatti in condizioni di assoluta emergenza,
amministrati unicamente dal Genio Civile, non furono assoggettati
al controllo di nessuna altra autorità. Non è certo
da stupirsene, visto che tutto ciò si è nuovamente
verificato con l'infausta Ordinanza 80, che ha finanziato
i lavori di somma urgenza per la riparazione dei danni del terremoto
del 1980.
--E'
così che è accaduto che l'attintatura del 1960 -eseguita
senza alcuna sorveglianza degli enti competenti, affidata
alla sola "creatività" di una impresa di costruzioni, privata del supporto del colorito precedente, oramai scomparso,
a dispregio delle testimonianze documentali e del testo architettonico
con i suoi indizi reali, le sue proporzioni, violando persino
l'elementare principio dell'analogia ed il conforto della memoria
dei testimoni, che peraltro ancor oggi ricordano- ha stravolto,
con i suoi sfondi giallo-tufo e con il suo cupo grigio esteso
indistintamente su ogni modanatura, l'Idea originale dell'architettura
del Palazzo.
--Ma
qual è l'Idea originale?
--Per
una probabile risposta la nota della Soprintendenza del
1926 costituisce un documento preziosissimo in quanto
fondata certamente sull'osservazione diretta del monumento: la
prescrizione che impone di attintare gli intonaci "nuovamente
ad imitazione travertino" è la prova certa
che essi già lo fossero. Inoltre se nel 1926 l'attintatura
è talmente obsoleta che ne viene ordinata la rifazione,
considerando che un suo ciclo medio di manutenzione, in assenza
di aggressività da inquinamento atmosferico, è di
circa vent'anni, essa era stata sicuramente eseguita negli ultimi
anni dell'800, e poiché, come si è visto, i lavori
di costruzione del palazzo erano giunti a compimento solo agli
inizi di quello stesso secolo, l'estensore delle prescrizioni
del '26, se non osserva la prima attintatura, ne vede senz'altro
una rifazione di prima mano, modellata direttamente sull'originale.
Peraltro la pratica del finto travertino, usata specialmente in
quei cantieri romani del XVII e XVIII secolo in cui Luigi Vanvitelli
si era formato, è ampiamente documentata nei libri e nell'architettura
fino agli inizi del '900, come ha dimostrato così bene
Paolo Marconi.
--Quanto
ipotizzato andava comprovato con una traccia esplicita della tinta, ma ricercare un campione indisturbato in quegli intonaci quasi
completamente rifatti e, se pure originali, totalmente già
scoloriti, era un'impresa ardua, infatti campioni prelevati dallo
scalone, dall'androne e dalle facciate esterne, non hanno rivelato
nessuna stratificazione di colore. A questo punto mi veniva ancora
in aiuto la nota del '26, là dove essa si riferiva
ai "casotti di portineria". Posti in opera
agli inizi del nostro secolo i "casotti" erano ancora
lì, poggiati alle pareti dell'androne rivestiti, all'interno,
di vari strati di carta più volte attintati: gli intonaci
delle pareti, preservati dal casotto e dai rivestimenti, probabilmente
non erano mai stati danneggiati, né certamente rifatti
dai lavori del 1960 dato che le carte che li ricoprivano erano
assai antecedenti; così prelevatone un campione
l'analisi stratigrafica ha fatto emergere, in fondo, un color
giallo chiaro, patinato ad imitazione travertino.
--Questo
giallo è stata la tinta adottata per gli sfondi; restava da stabilire quella degli altri due elementi dell'architettura
del palazzo: l'ordine e la decorazione.
--Essendo
questi due elementi realizzati con una tecnica mista di materiali
ricchi e materiali poveri, ovvero in parte con pietra
da taglio (piperno per l'ordine e marmo per la decorazione)
ed in parte tirati ad intonaco, è stato
semplice, seguendo l'ovvio principio analogico, stabilire le tinte
dell'uno e dell'altra: sottoposti ad un preventivo cleaning, con
acqua a pressione, il piperno ed il marmo, le parti ad intonaco
che li completavano sono state rispettivamente attintate di grigio,
patinato ad imitazione di quel piperno, e di bianco, patinato
ad imitazione di quel marmo (1).
--Ritrovate
e decise le tre tinte, si
è posto il problema della cosmesi, ovvero
del rapporto tra i colori e della loro reciproca posizione. In
linea di massima il principio che ho seguito, dettato dalla stessa
architettura del palazzo, e perciò analogico, prevedeva:
gli sfondi, di colore giallo; l'ordine (basamento, lesene, architravi
e cornici), dove non di piperno, di colore grigio; la decorazione
(basi, capitelli e fregi), dove non di marmo, di colore bianco.
--Più
spinoso, invece, si è rivelato il problema posto
dalle cornici di stucco dei balconi del piano nobile e dal portale
dell'androne di Via Calabritto; qui, infatti, l'impossibilità
di una cosmesi solo per analogia, suggeriva una soluzione anche
interpretativa. La cornice dei balconi del piano nobile, secondo
un disegno assai complesso, che la distingue dalle altre, è
composta da due differenti cornici sovrapposte: quella inferiore,
collocata direttamente sullo sfondo e sormontata da un timpano,
ha una modanatura quasi liscia; quella superiore, incastonata
nell'altra, ha una sagoma molto minuta e dettagliata. Se la cornice
inferiore, sia per la collocazione che per il disegno molto semplificato,
può ritenersi che imiti una struttura scolpita nel piperno,
in analogia con le cornici del piano ammezzato e del piano attico,
ciò non può essere per la cornice superiore, la
cui ricca modanatura, impossibile da delinearsi in quella pietra
spugnosa, è presumibilmente ideata nel marmo. Il doppio
materiale, piperno-marmo, trova un'ulteriore motivazione nelle
stesse misure e proporzioni della cornice; infatti se essa fosse
tutta di un'unica pietra, come peraltro realizzata dal restauro
del 1960 tutta attintata di grigio, avrebbe proporzioni assai
desuete per il palazzo e niente affatto canoniche per tutta la
storia dell'architettura classica: un architrave sgraziato e pesante
alto due volte la larghezza dei piedritti. La bicromia grigio-bianco,
invece, definendo due cornici distinte, ciascuna delle quali,
in un gioco di raffinate misure, ha l'architrave alto quanto la
larghezza del proprio piedritto, le assimila entrambe a tutte
le altre cornici rigirate del palazzo. Una complessità
architettonica, come quella sublime delle cornici multiple della
Reggia di Caserta, che qui a Calabritto sottolinea il luogo più
rappresentativo del Palazzo, il suo piano nobile, impreziosendolo
inoltre con un inserto decorativo. Fa parte della decorazione
della cornice anche il frontone del timpano, tradizionalmente
deputato a tale funzione, e pertanto anch'esso attintato di bianco.
Il portale dell'androne di Via Calabritto, realizzato ancora una
volta con tecnica mista, è costituito da un arcone di marmo,
sormontato da una specchiatura mistilinea, incorniciato tra erme
muliebri binate alle lesene di piperno dell'ordine. Le erme e
la cornice che inquadra la specchiatura al di sopra del portale,
assimilate analogicamente all'ordine, sono state attintate di
grigio; invece i capitelli e le basi delle erme, i loro sfondati,
le teste muliebri e le ghirlande sono state attintate di bianco
in quanto interpretati come decorazione. Egualmente è bianca
la specchiatura mistilinea centrale, ma qui l'ipotesi interpretativa
è suffragata da quella analogica, in quanto sul secondo
portale, quello di Piazza dei Martiri, la stessa specchiatura
è proprio di marmo. Gli infissi esterni sono stati attintati
di colore verde scuro; le parti metalliche, balaustre, mensole,
ecc., di color grigio canna-di-fucile.
--Le
parti del palazzo, incomplete e/o aggiunte, che si straniano dal
progetto originale sono state attintate di colore grigio
chiaro (50% giallo; 50% grigio) esteso, uniformemente, su ogni
elemento dell'architettura, sulle persiane e sulle balaustre metalliche.
Sono stati bonificati, infine, gran parte degli impianti esterni
di adduzione dei servizi. Il basamento del palazzo, aldilà
delle obbrobriose mostre dei negozi, si presentava costituito
dal solo piano liscio dello sfondo su cui si aprivano, senza cornice,
i vani rettangolari degli accessi alle botteghe.
--Questa
situazione, già documentata in un disegno della fine dell'800,
non era comunque quella originale; infatti saggi di scavo
eseguiti durante i lavori al disotto dell'intonaco hanno messo
in luce, in corrispondenza di ciascun vano d'accesso, una cornice
di piperno liscia, con architrave mistilineo, che, collegata alla
soglia dei balconi dell'ammezzato superiore, costituisce con questi,
in un unico e complesso disegno, quello che doveva essere il basamento
originale del Palazzo. Tutti gli architravi, in corrispondenza
dell'imposta, hanno un taglio in cui è alloggiata una poutrelle;
si tratta certamente di un consolidamento ottocentesco, in seguito
al quale probabilmente si decise di intonacare la fascia basamentale, per ovvie ragioni di mascheramento estetico.
--Il
ripristino della situazione originale, non ancora completamente
eseguita per impedimenti di natura commerciale, ha richiesto dunque:
innanzitutto il rifacimento dello sfondo intonacato, alla quota
originale, più bassa, riproponendo il risalto delle cornici;
poi l'eliminazione delle poutrelles e dunque un consolidamento
sostitutivo invisibile; ed infine l'integrazione delle lacune
del piperno ed un suo cleaning con acqua a pressione. Tra le cornici
saranno poste in opera lastre di piperno alte circa 9O centimetri
per preservare l'intonaco in corrispondenza del marciapiede.
--Al
restauro, eseguito sotto l'Alta Sorveglianza della Soprintendenza
ai B.A.A., ha contribuito il lavoro puntuale ed instancabile
degli imprenditori Bruno e Claudio Langella, sempre al mio fianco, in ogni scelta e decisione; la perizia di mastro Pietro, raro alchimista del colore e della
patinatura; la collaborazione preziosa dell'ENEL, Napoletana-Gas e SIP; e sopratutto la volontà
dei proprietari di Calabritto che, dopo decenni di oblio,
hanno deciso di "rimettere in funzione" il proprio Palazzo
oramai esausto, privato com'era di qualsiasi ragione estetica
e formale. E' a loro che affido il mio lavoro, sperando e confidando
in un ciclo di manutenzione assai più breve di quelli precedenti.
Paolo Di Caterina
riferimento: http://www.interviu.it/avvenime/1997/casa/restauro.htm
PAOLO
DI CATERINA