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          Florense 
 Arte 
            del Mediterraneo Arte 
            dell'Emigrazione  La poesia del tempo che fu - olio su tela mt1x140 Rosario 
            FOGLIA - © 
              copyright 
 --Dall'impegno 
            alla poesia --di 
            Emiliano MORRONE --Se Salvatore 
            Inglese ha analizzato le implicazioni psicopatologiche 
            e il terreno antropologico dell'emigrazione, Rosario 
              Foglia ne ha imprigionato, in molte sue tele, il grigio 
            chino e, d'altro canto, pervasivo, pressore.  --Anche 
            negli oggetti fissi d'una polverosa e vecchia povertà; 
            pure in quelle cose, d'uso comune, quasi senza sfondo e profondità: 
            la bottiglia, per esempio, di colore verde bruno e densa di fuliggine.  --Quella 
            che richiama la rigidità del freddo interiore, la legna consumata, 
            i valori d'una stanza, sola col camino, e la disperazione ritmata 
            dai sorsi d'un cupo e amaro rosso, 
            perfino al femminile.  --Un 
            rimando, molto poco forzato, al lavoro come dramma lacerante e al 
              sangue della donna, al mestruo, che, poi, Foglia ha reso protagonista di un violento riscatto 
                politico, assennato e dissacratorio.  --E, 
            ironia della sorte,  questo tragediografo dell'emigrazione ha seguito 
            la scia d'Inglese o, probabilmente, lo 
              psichiatra ha percorso il cammino, d'allontanamento, del pittore.  --Entrambi 
            hanno messo a fuoco la verità, o parte di essa, sulla 
              fuga dalla terra d'origine, le sue ragioni, la memoria, il conflitto, 
              la reazione di chi è restato.   
 Artisti 
            del Mediterraneo: Galleria 
              Florense Rosario 
            FOGLIA a Toronto in occasione del "vernissage" 
            della sua personale nel 1978, con, da sinistra, la inseparabile 
            moglie Maria, Maria Grazia FAGIANI e Stella LISI  --Foglia, 
            isolato, ricordato qualche volta, è ignoto alla generazione dei 
            cosiddetti "ribelli", quelli che hanno visitato parzialmente l'Abbazia e nominano l'abate con un senso di estraneità e appartenenza; quelli 
            che subiscono un'imposizione di sapere, il gioachimismo d'ufficio, 
            accreditato per pigrizia rispetto ad altro.  --Ciò 
            per significare che la cultura non dimora nello scontato e nel riferito, 
            vive nella scoperta.  --Giusto 
            di questo va detto, scrivendo qualche riga sopra un artista che 
            ha solo una colpa originaria e una condotta recidiva: l'essere 
              nato e il vivere a San Giovanni in Fiore.  --Ora 
            che, da Augé, certa generazione dello sperimentale post-sessantottino, 
            specie un filone di registi votati all'icastica elettronica, pare 
            abbia scoperto il fascino delle strade, per un'esposizione pubblica 
            spogliata d'ogni procedura burocratica, Rosario Foglia si 
              può ritenere il più grande intellettuale della città florense, superiore, 
              per acutezza e rabbia coerente, a chiunque altro.  --Ma 
            questo gli rende appena delle briciole, considerato che la 
              sua città - o il suo paese - non gli ha mai reso tributi né attenzioni 
              di sorta. Ed è magra consolazione, poiché Foglia non è 
            di questo luogo, di 
              questo forno crematorio delle ricerche dell'anima, 
            di voli autentici nel cielo delle idee, di preziosi arrischi evolutivi.  --Difatti, 
            il pittore del "male assegnato", al quale riserva 
            alcune sconsacrazioni tipiche di De Sade, con scopo altro, ha inventato, 
            ai tempi della recessione economica, la Strada dei quadri: raffiguranti 
              "oscenità" in serie, bramosi atti carnali d'una "sessualità maledetta", 
            tardi autunni operai, atmosfere postatomiche, secondo la legge dell'eterno 
            ritorno, scene di lesbismo politico o di sogni, coscienti, da privazione.  Come in Attesa in cantina, 
              olio su tela, del 1980. 
 --E 
            questa operazione - che, allora, ottenne l'unanime disprezzo 
              e la censura laica e religiosa - ha, perlomeno, tre obiettivi 
            che s'incrociano: la pubblicità dell'opera e la sua gratuità, la 
            messa a nudo, su muro, di una diffusa disumanità, il ricupero estetico 
            di vie casuali, senza piani ex lege e regole di transizione.  --Cioè: trenta anni fa e passa, Foglia ha appeso 
            i suoi lavori dove capitava, creando un vero percorso di significato, 
            rendiamoci conto, in un contesto di totale chiusura e di morali 
            parallele, nel quale si cercava il capro, per esorcizzare 
              la subordinazione politica e la recisione forzata dell'emigrazione. --Ora, 
            quasi inspiegabilmente, forse per la sagace ironia d'una confinata 
            senescenza, Rosario Foglia esce con un catalogo di opere, Dall'impegno 
              alla poesia, Pubblisfera, San Giovanni in Fiore, 2003.  --All'editore, 
            è caro il tema dell'emigrazione, del viaggio: da Le braccia del 
            mondo, di Francesco Mazzei, a Il passeggiatore solitario, di Emilio 
            Arnone - soggetti con la luce. Il fatto colpisce solo perché Foglia 
            non ha perduto la sua attualità.  --E, 
            peraltro, lo spazio circostante è identico a prima, a quando il 
            pittore incominciò lo studio di La 
              mia gente nella città di Gioacchino da Fiore, nel 1965. 
 --L'espansione 
            del capitale e la fluidità dell'Impero non hanno prodotto quella 
            emancipazione e quell'autonomia culturale vantati dalla vecchia 
            guardia, da quella stessa sinistra, preistorica, rapace e militaresca, rappresentata da Foglia, con uccelli, mentre la sua gente 
              va, lasciando stoviglie e attrezzi per i campi.   --Come 
            per Danilo 
              Montenegro, altro grande irriducibile, il filo è simbolo 
            di un'urlata poesia primordiale, per Rosario 
              Foglia, la tana - o il luogo della partenza - diventa 
            motivo di lotta e conquista sociale. Emiliano 
            MORRONE |